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La “Natività Di Gesù Cristo” – Icona Di Enrico Benedetti (OFS Sabbioncello)
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“La Vergine dà oggi alla luce l’Eterno e la terra offre una grotta all’Inaccessibile. Gli angeli cantano gloria con i pastori, i magi camminano con la stella, poiché per noi è nato un tenero Bambino, il Dio che è prima dei secoli.” (dall’inno sulla Natività di Romano il Melode – sec. VI)

La tradizione cattolica dice che il presepe sia nato ad opera di San Francesco, che certamente conosceva e trasse ispirazione dalla tradizione iconografica delle icone ortodosse, che a loro volta si ispirarono a tradizioni risalenti al III-IV secolo.
Lo schema della composizione di questa Natività riprende un’icona di Rublëv (1410-1430), attualmente presso la Galleria Tretjakov di Mosca.

Lo sfondo della scena è quasi tutto occupato da una montagna rocciosa di forma piramidale che unifica tre livelli: nella parte superiore è raffigurata la sfera del divino, al centro l’evento dell’Incarnazione, nella parte inferiore il livello dell’umanità.

La Grotta e il Bambino.

Un raggio di Luce divina, con la stella che guida i Magi, scende verso una oscura caverna, la grotta del racconto di san Luca, che rappresenta simbolicamente anche l’ingresso agli Inferi (come è anche rappresentato nell’icona della Resurrezione). Questa Luce indica, al centro dell’icona, il bambino Gesù, posto in una culla che sembra un sepolcro e avvolto in bende che anch’esse rimandano alla sepoltura. L’insieme di questa raffigurazione indica che Gesù, “luce [che] splende nelle tenebre” (Gv 1,5), è venuto a “dimorare all’ombra della morte” (cfr. Lc 1,79; Mt 4,16), cioè fra coloro che non conoscono il Messia. Tutto richiama la vittoria sulla morte e sugli inferi resa possibile dall’Incarnazione.

La Madre di Dio.

Fuori della grotta, in primo piano, è rappresentata la Madre di Dio, avvolta da un manto regale dove sono raffigurate, sul capo e le spalle, le stelle simboli della sua verginità, prima, durante e dopo il parto. E’ distesa su un manto rosso (simbolo del sangue, della vita e quindi dell’amore divino): è sfinita, poggia la testa su una mano e ha lo sguardo perduto nella contemplazione del mistero (“Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”- Lc 2,19). Non è rivolta verso il Bambino, ma verso di noi, perché anche noi siamo suoi figli e, d’altra parte, il guardare il Figlio deposto in una culla-sepolcro richiama troppo il dolore della Sua morte.

Gli angeli e i pastori.

In alto, nel gruppo di angeli, due sono rivolti verso i Magi ed uno verso un pastore che rappresenta i “pastori che pernottavano in mezzo ai campi per fare la guardia al proprio gregge, [ai quali] un angelo del Signore apparve…, la gloria del Signore li avvolse sicché furono presi da gran timore” (Lc 2, 6-7). Sono loro che rappresentano “il popolo che camminava nelle tenebre e vide una gran luce” (Is 9,1).

Il bue e l’asino.

Nell’icona sono presenti anche degli elementi che provengono dai Vangeli apocrifi. Dal Vangelo dello Pseudo Matteo, per esempio, derivano il bue e l’asino che, secondo gli autori cristiani, raffigurano la parola del profeta Isaia: “Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone; Israele invece non comprende, il mio popolo non ha senno” (Is 1,5); simboleggiano quindi i Greci e i Gentili.

San Giuseppe.

Nell’angolo inferiore destro dell’icona si trova San Giuseppe, assorto nel suo umanissimo dubbio di fronte al mistero di questo concepimento: “Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto” (Mt 1,19)

Le donne.

Nella parte inferiore, a sinistra, vi è un’altra scena: due donne preparano il bagno del Bambino che da un lato sottolinea la perfetta umanità del Cristo, dall’altro prefigura il suo battesimo.

I Magi.

I Magi sono raffigurati in alto a sinistra: giungono a cavallo, da lontano. Essi rappresentano tutti coloro che, pur estranei al popolo di Israele, accoglieranno il Signore e saranno compresi nel nuovo regno messianico. Cristo infatti è venuto per tutti gli uomini.

Il Creato.

In tutta la scena ricorrono elementi vegetali e animali: alberi e arbusti, pecore e agnelli. Questi ultimi, come l’asino e il bue, hanno lo sguardo rivolto verso il Bambino e stanno in una immobilità che esprime il loro stupore per quel momento prodigioso. Questa immobilità si riproduce nei nostri presepi, nell’incanto leggiadro e poetico delle statuine che ci ricordano, in ogni notte di Natale, la grande tenerezza di Dio per gli uomini che Egli ama.

Santo Natale 2020.

Enrico Benedetti – OFS Sabbioncello

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