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Giornata Mondiale Di Preghiera Per La Cura Del Creato E 17^ Giornata Nazionale Per La Custodia Del Creato – Riflessione Di Padre Franco Valente OFM Sabbioncello
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“Il giardino di Francesco” presso il Santuario francescano di Santa Maria Nascente

Sabbioncello di Merate, 4 settembre 2022, foto OFS Sabbioncello

 

Il Catechismo della Chiesa Cattolica (all’art. 2145) ricorda che «il settimo comandamento esige il rispetto dell’integrità della creazione», perché «gli animali, come le piante e gli esseri inanimati, sono naturalmente destinati al bene comune dell’umanità passata, presente e futura».

Perciò il non rispettare la destinazione dei beni della creazione all’insieme dell’umanità è andare contro la volontà di Dio e trasgredire il settimo comandamento, «Non rubare» (Es 20,15; Dt 5,19; Mt 19,18), che proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni del prossimo.

In questo caso, però, rubare equivale a uccidere, perché, come ricorda Papa Francesco nella Laudato si’, se non rispettiamo la destinazione dei beni della creazione a tutti, «ci carichiamo sulla coscienza il peso di negare l’esistenza degli altri. Per questo», ha aggiunto, «i Vescovi della Nuova Zelanda si sono chiesti che cosa significa il comandamento “non uccidere” quando “un venti per cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere» (Laudato si’, 95).

È soprattutto negli ultimi due secoli che è venuto meno il rispetto della destinazione dei beni della creazione a tutto il genere umano. Con l’inizio della rivoluzione industriale (1798) l’uomo ha dato il via a un processo di sfruttamento delle risorse naturali che non ha precedenti nella storia. Il tutto a beneficio soltanto di pochi, a beneficio soltanto di una parte dell’umanità. «Mai abbiamo maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli» (Laudato si’, 53).

Già Paolo VI, nel 1970, parlava di «una vera catastrofe ecologica» e sottolineava «l’urgenza e la necessità di un mutamento radicale nella condotta dell’umanità», perché «i progressi scientifici più straordinari, le prodezze tecniche più strabilianti, la crescita economica più prodigiosa, se non sono congiunte ad un autentico progresso sociale e morale, si rivolgono, in definitiva, contro l’uomo».[1]

Nel messaggio per la «Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato» del 1° settembre 2022 (pubblicato il 21 luglio) Papa Francesco osserva: «La sorella madre Terra grida. In balia dei nostri eccessi consumistici, geme e ci implora di fermare i nostri abusi e la sua distruzione». «Stiamo raggiungendo un punto di rottura», serve una «conversione ecologica» non solo individuale, ma anche comunitaria. Francesco guarda quindi a due importanti appuntamenti internazionali: il vertice COP27 in programma in Egitto a novembre e il vertice COP15 previsto in Canada il mese successivo. Il primo avrà al centro ancora la riduzione globale delle emissioni di gas serra. Altrettanto importante sarà l’appuntamento in Canada a dicembre dedicato alla salvaguardia della biodiversità e all’adozione di un nuovo accordo multilaterale «per fermare la distruzione degli ecosistemi e l’estinzione delle specie», «l’ulteriore collasso della rete della vita».

Il Pontefice chiede che le nazioni economicamente più ricche facciano «passi più ambiziosi» sia alla COP27 che alla COP15, perché «hanno inquinato di più negli ultimi due secoli», il loro «debito ecologico» (Laudato si’, 51) è indubitabile. Ciò comporta non solo lavorare e impegnarsi all’interno dei propri confini, ma anche mantenere le promesse di sostegno finanziario e tecnico ai Paesi più poveri, che subiscono il peso maggiore della crisi climatica.

In concreto, Francesco chiede «in nome di Dio, alle grandi compagnie estrattive – minerarie, petrolifere, forestali, immobiliari, agroalimentari – di smettere di distruggere i boschi, le aree umide e le montagne, di smettere d’inquinare i fiumi e i mari, di smettere d’intossicare i popoli e gli alimenti».

In un articolo[2] ho letto che la vita sulla terra e nelle acque dei mari è andata assai vicina alla scomparsa totale per almeno quattro o cinque volte. In particolare ci deve interessare la «grande moria» avvenuta 250 milioni d’anni fa circa, nell’ultima fase del periodo Permiano, al passaggio dal Paleozoico al Mesozoico. Gli scienziati affermano che in quel periodo sparirono dal 90 al 95% delle specie terrestri, scomparvero immense foreste primarie e quasi tutte le specie marine. Le cause di quel disastro ecologico, secondo ricerche recenti, furono principalmente due: l’enorme quantità di anidride carbonica emessa nell’atmosfera dalla intensissima ripresa delle attività vulcaniche e l’altrettanto imponente rilascio di metano. Esattamente le stesse minacce, questa volta prodotte dall’uomo, che gravano oggi sulla vita della Terra. Tuttavia il nostro pianeta ci ha dimostrato nelle pagine del libro della sua storia, scritto negli strati delle sue rocce, che è in grado di far fronte a qualunque minaccia chimico-fisica. Non è la Terra a rischiare; ad esempio, l’eccesso di CO2 nell’atmosfera sarebbe neutralizzato in circa 100.000 anni. Poco più che un battito di ciglia se rapportato all’età del nostro pianeta (gli scienziati concordano nel ritenere che l’età del pianeta Terra sia di quattro miliardi e cinquecento quaranta milioni di anni). È l’essere umano che invece rischia grosso, è lui che deve pensare a non soccombere. Infatti la Terra gli sopravviverà e riparerà i suoi errori, ma dopo averlo eliminato.

Pensando al comportamento dell’uomo nei confronti della natura e dell’ambiente soprattutto negli ultimi 150 anni, viene allora in mente l’immagine dell’omino che sega il ramo della grande pianta su cui è seduto. È l’immagine del danno che gli uomini fanno a loro stessi con il loro comportamento, ma anche l’immagine sintetica di cinici e miopi egoismi, «interessi economici predatori», incapacità di adattamento al cambiamento, e – alla base di tutto ciò – povertà, se non assenza di valori etici: tutte cose che sono in grado di condurre l’umanità alla sua distruzione.

Riassumendo: distruggendo la Terra, l’ambiente in cui vive, l’umanità distrugge se stessa, ma la Terra sopravviverà all’umanità, ha i mezzi per farlo.

Viene allora spontanea la domanda: riuscirà l’uomo a evitare di autodistruggersi?

Pensando alle grandi scelte che sono di fronte all’umanità, accogliamo l’invito di Papa Francesco a pregare «affinché i vertici COP27 e COP15 possano unire la famiglia umana (cf. Laudato si’, 13) per affrontare decisamente la doppia crisi del clima e della riduzione della biodiversità». E «rispondiamo con i fatti» al «grido amaro del creato», «perché noi e le generazioni future possiamo ancora gioire con il dolce canto di vita e di speranza delle creature».

fr. Franco Valente – OFM Sabbioncello

 

[1]Discorso alla FAO nel 25° anniversario (16 novembre 1970), 4, citato da Papa Francesco, Laudato si’, 4.

[2]Alessandro Bargoni, Uomo e ambiente: il rischio è tagliare il ramo, in La Voce e il Tempo, 2022 n. 18, p. 27.

 

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