Immagine: Icona della Deesis – Monastero di Santa Caterina Sinai, XII secolo (da Wikipedia)
Viviamo in un’epoca nella quale l’immagine è diventata pervasiva. La tecnologia ha banalizzato l’immagine. Tutto viene comunicato con immagini: foto, fumetti, emoticon, cartoons, video, film, ecc. Eppure, anche se vediamo tante immagini, siamo sempre meno capaci di “guardarle” con attenzione, di interpretarle, di comprenderne il vero e più profondo significato. E’ l’analoga differenza che c’è fra sentire e ascoltare: sentire “fisicamente” un suono e “comprenderne” il significato.
L’evoluzione teologica e culturale dell’Ebraismo e del Cristianesimo è prevalentemente legata alla Parola. Nel Deuteronomio (6, 4), quando il Signore dà i precetti al suo popolo, inizia invitando Israele all’ASCOLTO della sua parola E’ intorno alla parola, al logos, che si sviluppa il pensiero filosofico e teologico. Tuttavia anche nel Cristianesimo anche l’immagine, pur in un ruolo subordinato alla parola, eserciterà via via la sua plasticità e la sua forza e in alcuni contesti, con la pretesa di rappresentare efficacemente anche ciò che per definizione risulta non rappresentabile, si spingerà al di là delle sue stesse possibilità espressive, anche se ai nostri tempi, con il processo di secolarizzazione, l’immagine sacra, è praticamente in via di estinzione.
Negli ambiti geografico-culturali dell’Oriente e dell’Occidente cristiano la concezione dell’immagine risulta però essere profondamente differente. Mentre l’Oriente cristiano, infatti, attribuisce all’immagine una valenza “rivelativa” e la percepisce come un vero e proprio “tramite” attraverso cui l’eternità irrompe con forza nell’orizzonte del tempo, l’Occidente cristiano le attribuisce, invece, una valenza meramente “illustrativa” e la pensa come una sorta di evocazione allusiva del sacro, destinata a dischiuderne il senso anche a chi non è in grado di coglierlo attraverso la Parola.
In un caso e nell’altro l’immagine, è però di fatto protesa, sia pure in modo non identico, a esprimere in forme e colori l’inaccessibile dimensione del divino: un divino rappresentato dall’Oriente secondo modalità che vedono il teologico prevalere e guidare l’estetico, mentre in Occidente tende a prevalere l’estetico e il teologico finisce gradualmente con l’eclissarsi. Come dice qualche cristiano orientale: “La vera arte sacra rimasta è quella ortodossa: la vostra [occidentale, cattolica] è al più un’arte vagamente religiosa”; e p. Raniero Cantalamessa: “Di fronte a un dipinto dei nostri grandi maestri ammiro la loro bravura: di fronte a un’icona mi metto a pregare”. Come è noto il Cristianesimo ha le sue origini nell’Ebraismo che ha la visione di un Dio, unico, “totalmente Altro” e trascendente. Questa concezione ha avuto una pesante ricaduta sul modo di concepire l’immagine:
“Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo né di quanto è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto terra.” (Esodo 20, 2-4)
Secondo questa concezione l’immagine ha una connotazione così negativa da essere collegata a quello che è ritenuto il più grave dei peccati: l’idolatria. Dio si rivela solo attraverso la Parola e non c’è spazio per nessun’altra visione della divinità. Dio non può essere visto: chi lo vede muore (cfr. Esodo 33, 20). Questo è così rilevante che, per salvaguardarne il mistero, il divieto di fare immagini di Dio è esteso a tutto ciò che ha relazione con Lui, in cielo, in terra e sotto terra: la realtà nella sua interezza. Questo divieto di fare immagini, anche se non è sempre rispettato (vedi i cherubini dell’Arca dell’Alleanza, le decorazioni floreali del tempio di Salomone, le pitture illustrative della storia ebraica nelle Sinagoghe) peserà significativamente all’inizio del cristianesimo sull’arte sacra. Anche per il cristianesimo, basato anch’esso sulla comunicazione con la Parola, c’era infatti il rischio di compromettere, con l’immagine (che andava diffondendosi nel mondo cristiano e che storicamente derivava dal paganesimo del mondo greco-romano con le illustrazioni pittoriche e scultoree delle divinità, veri e propri idoli), il mistero di Dio. In realtà questo tabù portò fra il VII e il IX secolo, soprattutto nelle chiese d’Oriente, a una feroce lotta iconoclasta, con distruzione delle immagini e persecuzioni (e uccisione) dei monaci iconografi che furono costretti a fuggire dall’oriente verso le coste italiche.
A questa lotta iconoclasta si pose termine nel 787 (praticamente però finì solo intorno alla metà del secolo successivo) con il VII Concilio ecumenico (II di Nicea), che decise come, dopo che Dio si era reso visibile nell’incarnazione in Gesù Cristo, fosse non solo possibile, ma doverosa la rappresentazione in immagini, rispettando la netta differenza tra venerazione delle stesse, ammessa, e adorazione, assolutamente rifiutata, perché solo Dio può essere adorato. Fu chiarito inoltre che la venerazione delle immagini significa la venerazione delle persone rappresentate e non delle icone materiali in quanto tali.
«…definiamo con ogni rigore e cura che, a somiglianza della raffigurazione della croce preziosa e vivificante, così le venerande e sante immagini, sia dipinte che in mosaico o in qualsiasi altro materiale adatto, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, sulle sacre suppellettili, sui sacri paramenti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l’immagine del signore Dio e salvatore nostro Gesù Cristo, o quella dell’immacolata signora nostra, la santa Madre di Dio, dei santi angeli, di tutti i santi e giusti. Infatti, quanto più frequentemente queste immagini vengono contemplate, tanto più quelli che le contemplano sono portati al ricordo e al desiderio di ciò che esse rappresentano e a tributare loro, baciandole, rispetto e venerazione. Non si tratta, certo, di una vera adorazione, riservata dalla nostra fede solo alla natura divina, ma di un culto simile a quello che si rende all’immagine della croce preziosa e vivificante, ai santi evangeli e agli altri oggetti sacri, onorandoli con l’offerta di incenso e di lumi secondo il pio uso degli antichi. L’onore reso all’immagine, in realtà, appartiene a colui che vi è rappresentato e chi venera l’immagine venera la realtà di chi in essa è riprodotto.»
Oriente e Occidente: un’unica immagine cristiana?
Dobbiamo porci una domanda: l’immagine cristiana delle origini era identica in Oriente e in Occidente nella cosiddetta “Chiesa indivisa” o si potevano già registrare delle differenze che si sarebbero evidenziate nel tempo? Dalle poche prime immagini dell’epoca paleocristiana di cui disponiamo (nei battisteri, nelle catacombe ecc.) possiamo rispondere che ci fosse una sostanziale unitarietà di fondo nell’arte cristiana, con presenti però fin dall’inizio diversificazioni legate alla sua provenienza e alla sua destinazione geografica.
In effetti Oriente e Occidente hanno un diverso sguardo sull’annuncio cristiano: se da un punto di vista formale è apparentemente coincidente, a un livello più profondo, dogmatico, vi sono sensibilità diverse che entrano in collisione fin dal IV secolo e che porteranno alla rottura nell’XI secolo con il cosiddetto “Scisma dOriente” (1054).
Se ci limitiamo ad esaminare il diverso approccio che Oriente e Occidente hanno al tema di Dio e di Gesù Cristo, se in entrambi i contesti si afferma essere Dio uno e trino, l’Oriente tende a sottolinearne maggiormente il carattere trinitario, l’Occidente evidenzia maggiormente il carattere unitario; analogamente, per quanto riguarda Gesù Cristo, entrambi gli ambiti lo riconoscono “vero Dio e vero uomo”, ma l’Oriente ne accentua la natura divina, mentre l’Occidente tende ad accentuarne la natura umana. Questo diverso modo di pensare l’interazione in Gesù Cristo fra sua divinità e sua umanità condizionerà pesantemente la diversificazione dell’arte cristiana fra Oriente e Occidente che, latente per qualche secolo, assumerà massima evidenza a partire dal Rinascimento.
Ricordo ancora brevemente che l’immagine sacra ha funzioni diverse in Oriente e in Occidente: in Oriente la venerazione delle immagini cristiane è infatti in ultimo destinata non alle immagini, bensì a coloro che esse rappresentano: le immagini sono venerate allo stesso modo con cui viene venerata la Croce, perché espressione dell’incarnazione di Cristo, vera rivelazione la cui negazione è considerata una vera e propria eresia; in Occidente l’immagine sacra è invece considerata semplicemente come modalità divulgativa della storia della Salvezza, destinata a coloro (gli analfabeti) che non hanno strumenti per accedervi attraverso la parola. Come scrisse, intorno al 600, papa Gregorio Magno al vescovo di Marsiglia che aveva distrutto delle immagini:
“Noi […] pensiamo che non avreste dovuto distruggere quelle immagini. La pittura infatti è adoperata nelle chiese perché gli analfabeti, almeno quardando sulle pareti, leggano ciò che non sono capaci di decifrare sui codici.”
In Occidente dunque le immagini cristiane non saranno in alcun modo pensate come un possibile modo di entrare in contatto con la realtà divina che esse intendono esprimere. Ad esse viene negata ogni valenza dogmatica e liturgica. Vengono dichiarate semplici decorazioni o, nel migliore dei casi, memoria degli eventi salvifici. Altrimenti si correrebbe un rischio idolatrico, nel quale spesso in effetti si è caduti e si cade e dal quale prendere le dovute distanze come hanno fatto i protestanti, che hanno le loro chiese spoglie proprio perché rifuggono dalle immagini sacre, considerandole idoli.
Enrico Benedetti (OFS Sabbioncello)