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Origine E Sviluppo Dei Capitoli Francescani – Padre Franco Valente OFM
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Giotto, San Francesco appare al Capitolo di Arles, 1295-1299 circa, affresco, 270 x 230. Assisi, Basilica superiore

INCONTRO DI FRATERNITÀ. Sabbioncello, 2 ottobre 2022

Il Capitolo, nell’ambito degli Istituti di vita consacrata della Chiesa cattolica (Ordini e Congregazioni), è la riunione o l’assemblea dei membri della comunità religiosa per trattare le questioni riguardanti la forma di vita da essi professata.

Perché tale riunione dei membri di una comunità religiosa si chiama «Capitolo»?

La parola «Capitolo» viene dal lat. capitulum, diminutivo di caput, -itis “capo”. Già Tertulliano e san Girolamo hanno trasportato la parola classica capitulum (“testolina”, da cui “capitello di colonna” ecc.) a significare le divisioni di un libro, i capitoli di un libro, dal che è derivato il senso di passo della Sacra Scrittura.

Da qui è derivato il senso di passo della Sacra Scrittura che si canta durante l’ufficio o di parte della Regola di San Benedetto che i monaci sono obbligati a leggere ogni giorno.

Da questo uso, attraverso frasi come ire ad capitulum («andare al capitolo, a leggere il capitolo»), è sorto un altro significato della parola: adunanza dei monaci di un monastero per trattare delle questioni riguardanti la comunità; nonché luogo in cui avvengono tali adunanze o riunioni (cioè la sala del Capitolo o sala capitolare).[1]

Origine e sviluppo del Capitolo generale

Dalla fraternità, che è elemento fondamentale della forma di vita proposta da Francesco ai suoi frati, sorge spontanea l’esigenza dell’incontro fraterno.[2] Tale esigenza ha la sua tipica e congeniale espressione nella riunione fraterna, che costituisce il nucleo da cui avrà origine il successivo Capitolo.

Il contenuto e lo stile dei Capitoli francescani traspaiono già nel racconto del ritorno alla Porziuncola dei primi otto frati che Francesco aveva inviato nelle varie parti del mondo (1Cel 29:366).

Come racconta Tommaso da Celano nella Vita Prima (1Cel 30:369-370), «i frati raccontarono al Serafico Padre tutte le loro esperienze, confessarono eventuali colpe e lo pregarono di correggerli e di punirli. Dal canto suo Francesco cominciò a manifestare loro il suo progetto nel modo più esauriente. Ebbene, questi tre elementi: relazione, confessione e istruzione sono diventati gli elementi costanti di questi primi incontri di tutti i frati con san Francesco».[3]

In quei primi tempi, in cui vivevano ancora una vita di itineranza, senza fissa dimora, avendo escluso per principio la stabilitas loci propria della comunità monastica, «i frati poterono sperimentare felicemente nella riunione fraterna una forma di sussidio particolarmente valido per esprimere e consolidare la loro comunione di vita consacrata alla sequela di Gesù Cristo» (Dizionario francescano 131).

Il moltiplicarsi del numero dei frati ha reso impossibile la frequenza iniziale degli incontri fraterni. Si è avvertita allora l’esigenza di assemblee a scadenze fisse e meglio organizzate. Si guarda perciò ai Capitoli monastici, che diventano un modello da imitare. L’imitazione avviene però in modo del tutto originale e in conformità al carisma.

E così l’incontro fraterno diventa un vero e proprio Capitolo di Fraternità e viene chiamato con questo termine divenuto ormai tradizionale, pur conservando delle caratteristiche che provengono direttamente dal carisma della fraternità che anima la nuova forma di vita. Ciò avvenne intorno al 1212 quando «Francesco stabilì che si celebrasse il Capitolo due volte l’anno: a Pentecoste e nella festa di san Michele in settembre» (3Comp 57:1466).

Il primo documento storico che conferma la celebrazione di un preciso Capitolo francescano si trova nella Legenda S. Verecundi militis et martyris, nella quale il cronista del monastero dedicato al santo Martire nei pressi di Assisi afferma: «Proprio nei dintorni di questo monastero il beato Francesco aveva radunato il Capitolo dei primi trecento frati… Così ci ha tramandato il sacerdote Andrea che era presente» (Pass SV 6:2250).

Ma già nel 1216 Giacomo da Vitry, vescovo di Acri, afferma, in una lettera, che i Frati Minori «si riuniscono una volta l’anno nel luogo prestabilito per rallegrarsi nel Signore e mangiare insieme» e inoltre allo scopo di formulare e promulgare «sante leggi che sottopongono al Papa per l’approvazione» (1Vitry 11: 2208).

«La testimonianza di Giacomo da Vitry ci mostra che, agli inizi, i Capitoli francescani non hanno per niente la solennità dei Capitoli monastici. Fanno pensare piuttosto a gioiose feste di famiglia. La preghiera e il pasto in comune sono come i sacramenti di questi incontri. Solamente alla fine – giacché questi incontri di fraternità si prolungano parecchi giorni – si adottano misure di interesse generale e si assegna a ognuno una residenza e un compito. Francesco era l’anima di quelle adunate fraterne. Parlava volentieri di quella che chiamava la regola o la vita (nel suo pensiero le cose si identificavano), commentandola autorevolmente. Proponeva alla discussione e all’approvazione dell’assemblea alcune aggiunte che ne avrebbero completato il testo. Parlava copiosamente sui temi che in seguito avrebbero formato il meglio delle Ammonizioni…».[4]

In tale forma e con tale frequenza (una volta l’anno) i Capitoli della Fraternità francescana vengono celebrati dal 1212 al 1217.

L’ulteriore sviluppo numerico e geografico dell’Ordine rende necessaria la sua suddivisione in Province per facilitarne il governo. La suddivisione viene fatta nel Capitolo della Pentecoste del 1217. Allo stesso tempo si riconosce l’impossibilità di riunire tutti i frati al Capitolo. Questa impossibilità impone la necessità di trasformare il Capitolo di tutta la Fraternità in Capitolo di tutti i Ministri.

L’ultimo Capitolo che ha visto la partecipazione di tutti i frati è stato quello del 1221. In questo Capitolo è stata presentata la Regola non bollata, in cui si stabilisce che questo incontro di famiglia sia limitato alla Fraternità provinciale, che lo celebrerà nella festa di san Michele arcangelo, mentre il Capitolo di Pentecoste si deve celebrare alla Porziuncola (presso la chiesa della Porziuncola) con la partecipazione dei Ministri di tutte le Province ogni tre anni e dei Ministri d’Italia ogni anno, se non dispone diversamente il Ministro generale (Rnb 18:50).[5]

Nella Regola definitiva (approvata nel 1223) non si fa più menzione del Capitolo riservato ai Ministri italiani (annuale). La Regola definitiva prescrive soltanto un Capitolo di tutti i Ministri provinciali che va celebrato a Pentecoste «dovunque sarà stabilito dal Ministro generale» ogni tre anni «o entro un termine maggiore o minore, così come dal predetto Ministro sarà ordinato» (Rb 8:96). Al Ministro generale è dunque concessa anche una certa libertà di anticipare o posticipare la data del Capitolo.

La Regola definitiva stabilisce che la partecipazione dei Ministri al Capitolo è obbligatoria, ma non esclude ancora la partecipazione di altri frati; mentre prevede la partecipazione dei Custodi solo nel caso in cui fosse necessario procedere all’elezione di un nuovo Ministro generale (Rb 8:96). Dal 1230, per disposizione di Gregorio IX, partecipa al Capitolo generale solo un Custode da ogni Provincia.

Frate Elia approfittò della facoltà concessa al Ministro generale di anticipare o posticipare la data del Capitolo per tralasciare completamente la convocazione del Capitolo generale. Ciò provocò, per reazione, un’accentuazione dell’autorità del Capitolo stesso. Le Costituzioni di Narbona del 1260 ribadiscono e confermano la dichiarazione categorica fatta già nel 1240: «Nel Capitolo generale risiede l’autorità principale del governo dell’Ordine».

Le modalità secondo le quali si doveva celebrare il Capitolo generale rimasero sostanzialmente quelle dettate da san Bonaventura. Il primo atto del Capitolo era la «syndacatio ministri generalis», cioè la discussione fatta dai soli Ministri provinciali sul governo del Generale, inchiesta che poteva anche concludersi con la deposizione del Generale stesso. Il Capitolo poi veniva aperto ad altri vocali: il rappresentante dei Custodi e un «Discreto» eletto nei Capitoli provinciali, così che ogni Provincia aveva tre rappresentanti al Capitolo generale.

In seno al Capitolo venivano nominati i «Definitori», che trattavano in commissione i vari problemi dell’Ordine.

A partire dal 1506 l’elezione del Ministro generale divenne l’adempimento più importante del Capitolo, tanto che furono considerati Capitoli generali solamente quelli elettivi, mentre gli altri furono detti «Congregazioni generali».

Spesso però i Capitoli e le Congregazioni dedicarono una parte importante dei lavori alla elaborazione delle Costituzioni, molte delle quali presero il nome dal Capitolo stesso.

Oggi il Capitolo generale viene convocato dal Ministro generale ogni sei anni nel luogo da lui stabilito dopo aver richiesto il parere del Consiglio plenario.

Tutti i frati dell’Ordine possono far pervenire al Capitolo le loro opinioni e proposte.

Al Capitolo generale spetta eleggere il Ministro e il governo dell’Ordine, ma la sua funzione più importante consiste nel rappresentare la comunione fraterna di tutto l’Ordine, incrementare il patrimonio della fraternità, promuovere un adeguato aggiornamento, scegliere iniziative e nuovi metodi, emanare le leggi proprie dell’Ordine e discutere le questioni di maggiore importanza.

Origine e sviluppo del Capitolo provinciale

I Capitoli provinciali iniziano nel 1217 (anno in cui viene decretata dal Capitolo generale la suddivisione dell’Ordine in Province) e hanno uno sviluppo giuridico e funzioni pastorali e legislative analoghe a quelle dei Capitoli generali.

Francesco li seguiva con particolare interesse e cura. Secondo quanto riferisce san Bonaventura nella Leggenda maggiore (4,10:1081), san Francesco attribuiva al Capitolo provinciale una tale importanza per la vita e per lo sviluppo dell’Ordine che la sua celebrazione annuale costituiva un avvenimento costantemente atteso e praticamente rispettato. Lo si celebrava nell’annuale festa di san Michele arcangelo, nella data quindi in cui un tempo si celebrava uno dei due Capitoli generali.

L’Assistente spirituale, fra Franco Valente OFM

[1]La sala del Capitolo o sala capitolare è, dopo la chiesa, il luogo più significativo e autorevole del monastero. Vi si legge ogni giorno un capitolo della Regola di San Benedetto, e l’abate vi istruisce i monaci; vi si svolgono il rito penitenziale e la correzione fraterna; i novizi ricevono l’abito monastico; si prendono decisioni quotidiane importanti per la vita del monastero; si dà l’estremo saluto ai monaci e sepoltura agli abati. Non vi possono prendere parte con diritto di voto i «fratelli conversi» e i monaci in formazione che non hanno ancora pronunciato i voti solenni. Essi ascoltano le decisioni capitolari, senza poter intervenire. Da qui il detto comune: «Non avere voce in capitolo».

[2]I primi frati, «avendo disprezzato tutte le cose terrene ed essendo immuni da qualsiasi amore egoistico, dal momento che riversavano tutto l’affetto del cuore in seno alla comunità, cercavano con tutto l’impegno di donare perfino se stessi per venire incontro alle necessità dei fratelli. Erano felici quando potevano riunirsi, più felici quando stavano insieme» (1Cel 39:387).

[3]K. Esser, Origini e valori autentici dell’Ordine dei Frati Minori, Milano, Ed. Cammino, 1972, 94 (testo riportato con qualche piccola modifica).

[4]S. J. Piat, Con Cristo povero e crocifisso, Milano, Edizioni Biblioteca Francescana, 1978 (ristampa), 287-288.

[5]Nelle Fonti Francescane la parola «Capitolo» compare per la prima volta soltanto nella Regola non bollata (5:16; 18:50), che fu presentata al Capitolo del 1221.

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