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Ordine Francescano Secolare Fraternità "Santa Maria Nascente" di Sabbiocello - il Signore ti dia pace
Vita Tra Fratelli (Regola OFS Art. 13). A Cura Di Ofelia Favaron – Ministro Della Fraternità Di Sabbioncello.
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Dopo il bellissimo contributo di Silvia in merito all’articolo 13 della nostra Regola ho pensato di proporre anch’io una riflessione sulla vita fra fratelli; lo faccio perché in questi giorni ho ripreso in mano alcuni  miei appunti sulle meditazioni che don Matteo Crimella aveva proposto ai Gruppi di Ascolto della Diocesi due anni fa (recentemente, in occasione della Quaresima segnata dalla pandemia, le ha riproposte sul web).

Si tratta dei 15 Salmi ascensionali (dal 120 L 134), io vorrei condividere quanto diceva sul Salmo che parla della vita fraterna.

Salmo 133 – Canto delle salite di Davide.

“Ecco, com’è bello e com’è dolce

che i fratelli vivano insieme!

E come olio prezioso versato sul capo,

che scende sulla barba, la barba di Aronne,

che scende sull’orlo della sua veste.

E come rugiada dell’Ermon,

che scende sui monti di Sion.

Perché là il Signore manda la benedizione,

la vita per sempre”.

Dice don Crimella: “Anche se nel Salmo non compare il termine, potremmo dire che questo Salmo ci pone di fronte ad una beatitudine: quella dell’amore fraterno perché la possibilità di volersi bene, l’arte di amarsi come fratelli, è prima di tutto un grande dono…”

Il Salmo per parlare dell’amore fraterno utilizza due immagini o paragoni: quello dell’olio e quello della rugiada.

L’olio rappresenta l’ospitalità, la cordialità, l’affetto; l’olio è anche un segno atletico, si usa per ungere l’atleta prima di una gara, l’olio ha pure un uso medicinale e cosmetico (proviamo a pensare all’amore fraterno come a qualcosa che rende forti, cura, aumenta la bellezza).

Nel Salmo è evocata la scena della consacrazione di Aronne narrata nel libro dell’Esodo al cap. 30; Dio comanda a Mosè di preparare una mistura di profumi unirli all’olio di oliva e ungere Aronne per consacrarlo come sacerdote e l’olio versato sul capo scende poi sulla barba (segno di virilità, maturità dell’uomo) e poi lungo tutta la veste (la veste è segno della dignità, nell’antichità non c’erano i documenti di identità era dunque la veste a rappresentare la persona, il suo ruolo o compito sociale) come a dire che tutta la persona è consacrata, appartiene totalmente al Signore.

La seconda immagine è quella della rugiada. La rugiada fa pensare alla frescura. La rugiada di cui parla il Salmo, che scende sul Sion proviene dall’Ermon. Ora l’Ermon è un monte molto alto dalla nevi perenni, ricco di acqua e dunque di vita, ma si trova praticamente in Libano dunque lontano da Gerusalemme, ma la leggenda diceva che l’umidità trasportata si spostava e così la rugiada poteva scendere sul Sion, portare frescura, umidità, vita (sappiamo anche noi quanto è piacevole la frescura del mattino durante la stagione calda).

Il Salmo all’inizio dice che è bello “vivere insieme” da fratelli; questo termine è usato nel libro degli Atti degli Apostoli per descrivere la prima comunità cristiana, dove si sperimentava una vita unità, ma la Bibbia stessa ci testimonia che spesso le cose fra fratelli non vanno così.

Pensiamo all’episodio di Caino che uccide il fratello Abele (Genesi 4); oppure a Ismaele ed Isacco (Genesi 21), il testo dice semplicemente che Ismaele scherzava con Isacco, ma se Sara chiede ad Abramo di scacciare la schiava Agar con il figlio Ismaele, probabilmente non si trattava di un semplice gioca fra bambini. Esaù e Giacobbe (Genesi 27) Giacobbe che con l’aiuto della madre Rebecca indossa gli abiti di Esaù e carpisce la benedizione di Isacco che ormai vecchio e quasi cieco non lo riconosce.

Altro esempio Giuseppe e i suoi fratelli (Genesi 31) Giuseppe figlio prediletto, anche un po’ viziato dal padre Giacobbe si presenta ai fratelli che stanno lavorando, sudando, con una veste perfetta (noi potremmo dire in giacca a cravatta) e racconta i suoi sogni; sappiamo che Giuseppe verrà venduto come schiavo e finirà in Egitto.  Certo ci sono anche pagine positive: Esaù che perdona Giacobbe; Giuseppe che perdona i fratelli, ma in generale possiamo dire che la Bibbia non ha una visione ideale, ma reale della vita fraterna.

In fondo è un’esperienza che vediamo riprodotta anche nel tempo fino ai nostri giorni: lotte inguaribili fra i membri della stessa famiglia per i motivi più disparati: eredità, denaro, punti di vista diversi, parole dette o non dette; è una storia triste che conosciamo.

Tutto questo significa che l’amore fra fratelli è un vero dono dall’alto, un miracolo, da chiedere nella preghiera come una benedizione, una grazia del Signore che poi tocca a noi custodire.

Ebbene rileggendo questi appunti, alla luce di quanto scritto da Silvia anch’io mi sono interrogata sul mio essere francescana, soprattutto sul mio modo di tessere e mantenere relazioni con i fratelli e le sorelle in fraternità.

Il mio pensiero è andato subito a san Francesco e a come lui ha vissuto la relazione con gli altri, perché è vero che accoglieva tutti quelli che andavano da lui ma è pur vero che spesso ha avuto difficoltà con quanti avevano deciso di seguirlo.

Ricordiamo ad esempio l’episodio/parabola della Perfetta letizia, dove Francesco pur di non rompere la relazione decide di “rimanere” con pazienza, senza conturbarsi davanti a quella porta chiusa a cui continuava a bussare; o la decisione di lasciare la guida dell’Ordine per non entrare in conflitto con quanti chiedevano di “allentare” la vita di povertà.

Ecco l’esempio luminoso di Francesco: lui non abbandona la fraternità e continua a chiamarli “fratelli” anche quando sono in disaccordo con lui.

Quante volte mi sono sentita impaziente perché non compresa e ho avuto la tentazione di allontanarmi, e quante volte non ho io compreso gli altri.

L’articolo 13 della nostra Regola ci invita ad accogliere tutti con animo umile e cortese, penso che questa accoglienza non si debba limitare al sorriso scambiato nel momento degli incontri fraterni, ma debba diventare qualcosa di più profondo, accogliere la sorella, il fratello per quello che è, con idee, sensibilità, atteggiamenti diversi dai miei, con i suoi pregi (questi a volte facciamo fatica a scorgerli) e limiti (questi li vediamo sempre), sapendo che così com’è lei/lui è amato dal Signore.

Tutto questo non è ne scontato ne facile, costa fatica, ma come spesso si dice, le cose belle costano.

Penso che una modalità per imparare a farlo sia quella di cominciare a prendere sul serio noi stessi, ad accettarci per quello che siamo con tutti i nostri limiti e fragilità e soprattutto affidandoci al Signore nella preghiera perché ci doni la possibilità di vivere uniti, resi tali dalla sua grazia e benedizione.

In fondo che gli uomini vivano come fratelli fa parte del sogno di Dio sull’umanità, a noi l’impegno di custodire questo dono dall’alto, e così saremo nella gioia.

Ofelia.

Sabbioncello, maggio 2020.

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