Immagine: “Gloria dei martiri francescani”, Licinio Bernardino, Dipinto tavola/pittura a olio, sec. XVI; 1500 post – 1599 ante, Chiesa di S. Maria Gloriosa dei Frari, Campo dei Frari – Venezia
FRATERNITÀ OFS DI SABBIONCELLO
INCONTRO DI FRATERNITÀ DEL 12 FEBBRAIO 2023
Il progetto missionario di Francesco d’Assisi
(cf. Carlo Basile, Condividere la gioia, in FVS 8/1 [gennaio-febbraio 2023], 24-25)
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Vocazione missionaria dell’Ordine e prime esperienze missionarie
La missione è stata come un’idea fissa in Francesco. È nata con l’ascolto del brano della missione degli apostoli che gli ha rivelato definitivamente l’orientamento che doveva dare alla sua vita e a quella dei suoi frati. Convinto che Dio li aveva suscitati per l’utilità e la salvezza di tutti gli uomini, fedeli e infedeli (cf. SpecPerf 65: 1758), ha cominciato a formarli per mandarli in missione, per mandarli ad annunciare il Vangelo a tutti gli uomini, ed essi hanno condiviso in pieno quell’ideale.
Nelle istruzioni familiari Francesco invitava continuamente i frati a riflettere sulla sublimità, sulla grandissima importanza dell’attività apostolica loro affidata da Dio. Raccomandava loro di amare e stimare gli infedeli e di non credersi affatto migliori di loro, poiché – diceva – se gli infedeli avessero ricevuto le grazie date ai missionari sarebbero diventati migliori di loro (SpecPerf 45: 1732). L’amore e la stima non devono venir meno né per i loro peccati né per la loro malizia, perché i frati sono destinati a liberare coloro che sono nell’errore. E «molti che ci sembrano membra del diavolo, possono un giorno diventare discepoli di Cristo» (3Comp 58: 1469). Anche di fronte alle ingratitudini, ai disprezzi, alle persecuzioni e alla morte i frati debbono continuare a trattare gli infedeli come amici, poiché in quei modi essi procurano la vita eterna ai missionari (Rnb 22: 56; Rb 10: 104).
Va tenuto presente che Francesco è vissuto negli anni caldi delle crociate per il riscatto del santo Sepolcro, in Oriente, e per respingere l’avanzata musulmana, in Occidente. La mentalità dei cristiani dell’epoca, anziché una guerra di difesa, voleva una guerra di sterminio totale dei musulmani. Nessuno pensava alla loro conversione, a parte qualche spirito solitario come l’abate Gioacchino da Fiore (1130-1202) che scriveva: «Avverrà forse che i cristiani prevalgano su di lui [il capo dei saraceni] piuttosto predicando che combattendo». Come lui Francesco vedeva nei musulmani dei fratelli bisognosi di essere illuminati per riconoscere il Cristo.
E, unendo alla teoria la pratica, Francesco ha cominciato presto a inviare i frati nelle più disparate regioni del mondo. La prima volta è stato quando erano appena quattro (3Comp 33: 1436), li ha inviati di nuovo quando giunsero a sei (3Comp 36-37: 1440-1441) e poi a otto: questa volta i frati Bernardo ed Egidio partirono per la Spagna, sia pure come pellegrini a Compostella (1Cel 29: 366; ecc.).
Probabilmente il pellegrinaggio in Spagna compiuto da Bernardo ed Egidio prima dell’approvazione dell’Ordine è stato l’occasione del primo contatto dei frati con l’Islam, con la civiltà islamica. Le parole di papa Innocenzo III: «Andate e predicate a tutti la penitenza» (1Cel 33: 375) sono state intese con un incoraggiamento all’attività apostolica anche tra gli infedeli. Francesco stesso nel 1212 ha tentato un primo viaggio in Oriente, ma è stato impedito da una furiosa tempesta (1Cel 55: 418); e nel 1213-1214 ha tentato di giungere, via terra, il Marocco, ma una malattia glielo ha impedito (1Cel 56: 420). Tra il 1212 e il 1215 fra Egidio ha visitato la Terra Santa. Il Capitolo generale del 1217 ha deciso le prime spedizioni missionarie oltre mare; frate Egidio si reca a Tunisi e fra Elia in Siria. Una programmazione dell’attività missionaria vera e propria si ha nel Capitolo del 1219, in seguito al quale un gruppo di frati parte per il Marocco e Francesco con alcuni frati raggiunge l’Egitto (dove avviene il famoso incontro con il sultano), la Siria e, secondo un’autorevole tradizione, Gerusalemme. Il 16 gennaio 1220 l’Ordine ha, in Marocco, i primi cinque frati martiri.
Questo evento determina una svolta nella storia dell’Ordine. Fino a quel momento l’apostolato fra i non cristiani era stato visto da Francesco con molta semplicità e ottimismo. La grande disponibilità dei compagni ad eseguire ogni suo comando non richiedeva una particolare distinzione tra la predicazione rivolta ai cristiani e quella destinata agli infedeli. La formazione che Francesco impartiva ai suoi compagni era la stessa per i due campi di apostolato: apostolato tra gli infedeli e apostolato tra i cristiani. Come si è già detto, egli raccomandava di amare e stimare gli infedeli e di non credersi affatto migliori di loro. Nei cinque martiri del Marocco Francesco vedeva semplicemente dei «veri frati minori» (AF III,21).
Tuttavia l’esperienza dei primi anni di attività missionaria, in cui non sono mancati insuccessi (cf. 3Comp 62: 1475) ed errori di impostazione (si ricordino le riserve di Giacomo da Vitry: 2Vitry 1: 2211), hanno indotto Francesco e i Capitoli generali ad approfondire il discorso, sia della vocazione sia del metodo missionario. Questo lavoro di approfondimento è all’origine delle norme sull’attività missionaria contenute nelle due Regole.
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Legislazione missionaria lasciata da Francesco
Le norme lasciate da Francesco riguardo alle missioni tra gli infedeli si trovano nella Rnb (o Regola prima), approvata dal Capitolo generale del 1221, e nella Rb, approvata da papa Onorio III il 29 novembre 1223 (Regola definitiva). Per la prima volta nella storia della Chiesa una Regola di un Ordine religioso dedica un capitolo apposito alla missione tra gli infedeli, più ampio nella Rnb, più stringato e giuridico nella Rb.
Il capitolo dodicesimo della Rb tratta di diversi argomenti: i missionari, il particolare legame dell’Ordine con la Chiesa romana, la sintesi della vita francescana.
Dell’attività missionaria ci si poteva aspettare che la Rb trattasse in concomitanza con la predicazione, come fa la Regola prima (capitolo 16: Di coloro che vanno tra i saraceni e altri infedeli; capitolo 17: Dei predicatori). Invece nella Rb si tratta dei predicatori al capitolo 9 e di coloro che vanno tra i saraceni e altri infedeli al capitolo 12.
Non sappiamo il motivo dello spostamento avvenuto nella Regola definitiva, ma è lecito pensare che Francesco abbia voluto evidenziare la sua attenzione a questo settore dell’attività del suo Ordine trattandone alla fine della Regola accanto ai temi che gli stavano maggiormente a cuore, perché costituiscono l’essenza del suo progetto, del suo ideale: la cattolicità (il rapporto con la Chiesa) e l’osservanza della povertà-umiltà e del santo Vangelo.
Benché Francesco fosse solito assegnare personalmente le varie missioni e incombenze ai frati (1Cel 29: 367), quando si trattava di missioni tra gli infedeli, non ha rivolto a nessun frate il comando o l’esortazione ad andare in missione tra gli infedeli, ma, molto sapientemente, ha lasciato la libera scelta ai singoli.
Sommamente rispettoso dei doni che Dio liberamente e generosamente elargisce ai suoi frati, egli, sia nella Rnb sia nella Rb, stabilisce che tutti i frati possono svolgere questo genere di apostolato in modo diretto. Non ammette eccezioni: tutti i frati, chierici e non chierici (=sacerdoti e non sacerdoti) possono andare in missione tra gli infedeli; tutti ne hanno diritto, perché tutti possono edificare il prossimo con una santa vita, fargli conoscere la Lieta Novella (LCap: 216) e dare, quando occorre, con la grazia di Dio, la testimonianza suprema per Cristo.
I missionari volontari sono inviati tanto ai «saraceni», cioè ai musulmani arabi, quanto agli «altri infedeli». Infatti in entrambe le Regole sono indicati esplicitamente sia gli uni sia gli altri.[1] Ciò dipende dal contesto storico del tempo, cioè dal fatto che in quel tempo i cristiani e i musulmani erano in forte ostilità. Non è azzardato vedere in questa “preferenza” per i saraceni la risposta di Francesco alle direttive della Chiesa che in quegli anni chiamava tutte le forze cristiane contro i saraceni, i musulmani. Ma nelle due Regole sono indicati anche «gli altri infedeli». Infatti fin dai primi tempi i frati si rivolsero anche verso gli ebrei, gli eretici, gli scismatici e, prima della fine del secolo XIII, verso i popoli dell’Asia Minore, dell’Oriente europeo, delle coste del Baltico e delle regioni dell’Asia occupate dai mongoli.
La scelta dei missionari
Sono richieste però alcune condizioni sia da parte degli aspiranti missionari, sia da parte dei loro Ministri provinciali (Rnb 16, 3-4: 42). I primi non possono recarsi in missione di proprio capriccio, alla leggera o per motivi umani, ma solamente per «divina ispirazione» (come dice la Rb 12, 1: 107). Con queste parole pare si voglia dire che i frati debbono avere coscienza della propria vocazione missionaria e che i moventi siano soprannaturali. Ciò significa che gli aspiranti missionari devono desiderare di andare in missione allo scopo di salvare le anime o per il desiderio del martirio.
La vocazione soprannaturale dell’aspirante missionario deve essere esaminata e autenticata dal rispettivo Ministro provinciale come rappresentante di Dio e della Chiesa. A lui perciò e non ad altri l’aspirante missionario deve presentare la sua richiesta formale per ottenere il «permesso» di recarsi tra gli infedeli. Ai Ministri provinciali, nella Rnb, viene ingiunto di dare il «permesso» ai frati «idonei ad essere mandati». Infatti, se non la dà, «dovrà rendere conto al Signore».
Il severo richiamo al giudizio di Dio contro colui che distoglie i frati dall’andare in missione per qualche motivo opportunistico, come per es. l’utilità della Provincia, dimostrano il grande rispetto di Francesco per i carismi dei singoli frati.
Nella Rb spariscono l’ordine di dare il permesso ai frati «idonei ad essere mandati» e la quasi minaccia contro il Ministro provinciale sfavorevole alle missioni, e si raccomanda a quest’ultimo di essere molto cauto, prudente, oculato nell’accogliere le richieste di andare in missione.
Come spiegare tale cambiamento? Si deve parlare di un progressivo disinteresse per le missioni da parte dell’Ordine? Lo sviluppo che proprio in quegli anni ha avuto l’attività missionaria lo esclude.
È probabile invece che ci sia stato, negli anni successivi alla redazione della Rnb, un intervento della Curia romana e dei Ministri provinciali, ai quali effettivamente la Rnb non dava l’autorità sufficiente per esercitare la loro funzione di rappresentanti di Dio, della Chiesa e della Fraternità nel cui nome i missionari sono inviati.
Sia la Rnb sia la Rb non precisano che cosa s’intenda per frati «idonei ad essere mandati» in missione, ovvero quali siano le condizioni di idoneità richieste agli aspiranti missionari. Alcuni requisiti sono impliciti nella descrizione dei due modi di fare missione che si trova nella Regola prima: testimonianza di una vita virtuosa e santa, umiltà, povertà, sincera carità, pazienza e perdono nelle persecuzioni. È probabile che, analogamente a quanto richiesto per i predicatori, e anzi a maggior ragione, l’idoneità dei missionari comportasse anche una debita preparazione dottrinale. In base all’esperienza fatta da Francesco stesso, era richiesta certamente anche una buona salute fisica.
Metodo missionario
Nella Rnb le missioni formano l’argomento esclusivo del lungo e splendido capitolo 16, intitolato appunto: «Di coloro che vanno tra i saraceni e altri infedeli» (Rnb 16: 42-45).
In questo capitolo 16 della Regola prima troviamo, esposto brevemente ma lucidamente, il metodo missionario proposto da Francesco (Rnb 16, 5-7: 43). Tale metodo rivela lo spirito evangelico di Francesco e anche la sua grande intelligenza, che gli permette di superare e contestare pacificamente le visioni ristrette del suo tempo.
Lo spirito evangelico del metodo missionario proposto da Francesco è evidenziato dalle numerose citazioni bibliche che si trovano in questo capitolo. Queste citazioni si possono in certo modo riassumere nel versetto iniziale (Rnb 16, 1: 42): «Dice il Signore: Ecco io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe» (Lc 10,3).
Francesco non polemizza, non contesta, non critica apertamente l’immagine dei saraceni che avevano i cristiani del suo tempo e che anche la Chiesa aveva (il decreto Expeditio pro recuperanda Terra Sancta del Concilio Lateranense IV indicava la crociata armata come l’unica soluzione al problema dei rapporti con i saraceni: alla aggressione musulmana si doveva rispondere con la violenza cristiana).
In effetti l’immagine degli agnelli inviati in mezzo ai lupi poteva ricordare, in quell’epoca, la ferocia con la quale spesso venivano trattati i cristiani caduti nelle mani dei musulmani, ma ricordava anche che Gesù ha mandato i suoi discepoli a «predicare il regno di Dio» a un mondo ostile senza altre armi che quelle che Francesco proponeva con l’esempio ai cristiani del suo tempo: le armi della mitezza e della semplicità.
Di conseguenza il primo «modo di comportarsi tra gli infedeli»,[2] o meglio il primo momento della presenza dei francescani tra gli «infedeli», è all’insegna della testimonianza e dell’esempio: non facciano liti né dispute, ma rispettino la coscienza degli altri cercando di scoprire ciò che lo Spirito opera anche tra di loro (Rnb 16, 6: 43). Ispirandosi a san Pietro, che invitava i primi cristiani a sottomettersi ad ogni istituzione umana per amore di Dio (1Pt 2,13: «State sottomessi ad ogni istituzione umana per amore per amore del Signore: sia al re come sovrano…»), Francesco chiede ai frati di sottomettersi alle autorità non cristiane, e quindi di riconoscere che anche loro provengono da Dio.[3]
Ciò non esclude che si professino cristiani e che, «quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo […] e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati e si facciano cristiani» (Rnb 16, 7: 43). Anche questo annunziare apertamente il Vangelo è un atto di fiducia verso gli «infedeli», in particolare verso i musulmani.
L’ultima parte del capitolo 16 della Regola prima (Rnb 16, 10-21: 45) si può considerare un abbozzo della teologia del martirio, costruito interamente su testi evangelici (è una delle più lunghe concentrazioni bibliche che si trovano negli scritti di Francesco) e basato sul concetto, caro a Francesco, della totale donazione a Cristo e dell’assoluto abbandono a Dio («E tutti i frati, ovunque sono, si ricordino che hanno consegnato e abbandonato il loro corpo al Signore nostro Gesù Cristo, e per suo amore devono esporsi ai nemici sia visibili sia invisibili» [Rnb 16, 10: 45]).
Conclusione
La Fraternità creata da Francesco è il primo Ordine missionario della Chiesa (in ordine di tempo), precursore degli odierni Istituti prettamente missionari. Non è però esclusivamente missionario, perché la sua attività è rivolta a tutte le anime e non unicamente a quelle degli infedeli.
L’idea e il servizio missionario offerto da Francesco e dai suoi frati hanno risvegliato lo spirito missionario nella Chiesa.
Ai nostri tempi l’iniziativa di Francesco ha raggiunto la perfezione, poiché come il capitolo sulle missioni tra gli infedeli costituisce la corona della Regola francescana così il decreto sulle missioni Ad gentes forma, nell’ordine pratico, la corona di tutto il Concilio Vaticano II.
Tale decreto, che ha proclamato la Chiesa per sua natura «tutta missionaria» (Ad gentes, 35), ha riconosciuto alle missioni, che mai erano state oggetto di attenzione da parte di un Concilio ecumenico, il loro posto esatto nella Chiesa. E come Francesco aveva fatto dei suoi frati una piccola fraternità missionaria, così il Concilio vuol fare di tutti i fedeli sparsi per il mondo una comunità missionaria: dice infatti che tutti i figli della Chiesa «devono spendere le loro forze nell’opera di evangelizzazione» (ivi, 36). Non c’è dubbio che, in questa opera, i figli di Francesco continueranno a fare la loro parte.
A cura dell’Assistente spirituale, fra Franco Valente OFM
Bibliografia
- Margiotti, Missione, in Dizionario francescano.
- Racca, La Regola dei Frati Minori, Assisi, Edizioni Porziuncola, 1986.
[1]Un testo, probabilmente più antico, ricorda solo gli infedeli. Cf. K. Esser, Opuscula, Grottaferrata 1978, Fragmenta Wo, p. 168, 36-40.
[2]Anche Francesco usa il termine «infedeli» per indicare tutti i non battezzati, gli eretici e gli scismatici, ma non nasconde la sua fiducia e la sua stima per i musulmani, con i quali era possibile un dialogo a partire dalla fede comune nel Dio di Abramo (cf. Rnb, 16, 8: 44).
[3]Il Concilio Lateranense IV (1215) aveva proibito ai cristiani di sottomettersi ad autorità non cristiane. È possibile che questo testo della Rnb (Rnb 16, 6: 43) sia anteriore al Concilio Lateranense IV e che l’omissione dello stesso nella Regola definitiva sia stato un atto di rispetto per il Concilio.