Sabbioncello di Merate, 6 settembre 2020.
In un articolo apparso qualche mese fa sul settimanale cattolico La Voce e il Tempo, Paolo Mirabella, docente di fondamenti etici, ha scritto: «“I can’t breathe”, “non posso respirare”. C’è una drammatica coincidenza tra il grido disperato di George Floyd, l’afroamericano di 46 anni fermato dalla polizia a Minneapolis lo scorso 25 maggio e ucciso dalla pressione impressa sul suo collo dal poliziotto che lo immobilizzava, e il pianeta Terra. L’uno e l’altra vittime di una pressione malvagia e irrazionale. La pressione di chi sente di avere il potere e ritiene di poterlo gestire arbitrariamente, fino alla fine. […] Per ben 8 minuti e 46 secondi il poliziotto ha scaricato il suo peso sul collo di George Floyd. Da più di due secoli, con l’inizio della rivoluzione industriale (1798), l’uomo ha dato il via ad un processo di inquinamento atmosferico senza precedenti e gli esperti ci avvisano che il 2050 rappresenta la data di non ritorno, quando cioè sarà troppo tardi per far “respirare” la Terra».
Il 24 maggio scorso, subito dopo la recita del Regina Coeli, papa Francesco ha voluto ricordare il quinto anniversario della pubblicazione della sua enciclica Laudato sì, richiamando l’attenzione sul «grido» della Terra e dei poveri. E ha indetto «un anno speciale per riflettere sull’Enciclica (dal 24 maggio di quest’anno fino al 24 maggio del prossimo maggio)». L’intento non è quello di celebrarla, ma di rilanciare il suo messaggio.
Il 24 maggio 2015, giorno di Pentecoste, papa Francesco, con la sua esortazione Laudato sì, ha profeticamente denunciato la duplice pressione dell’uomo sul proprio simile e sul pianeta Terra. Due crisi apparentemente diverse e distinte, che invece papa Francesco ha strettamente unito: «Non ci sono», ha scritto, «due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale (LS 139). Alla radice della quale vi è «l’attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull’ambiente» (LS 56); un sistema che nel nome del profitto sfrutta le risorse naturali pensandole infinite, deforesta, rende i poveri più poveri e crea nuove povertà: il tutto a beneficio di pochi.
E qual è la radice di tale «sistema»? Papa Francesco la individua nel «male» che già «papa Benedetto ci ha proposto di riconoscere», cioè nella «idea che non esistano verità indiscutibili che guidino la nostra vita, per cui la libertà umana non ha limiti […] non riconosciamo più alcuna istanza sopra di noi, ma vediamo solo noi stessi» (LS 6). Concetto ribadito dal Papa nel Messaggio per la Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato di quest’anno: «Non si può vivere in armonia con il creato senza essere in pace con il Creatore. Come ha osservato papa Benedetto, “il consumo brutale della creazione inizia dove non c’è Dio, dove la materia è ormai soltanto materiale per noi, dove noi stessi siamo le ultime istanze, dove l’insieme è semplicemente proprietà nostra”».
Pertanto facciamo bene a fare la raccolta differenziata, a non sprecare l’acqua e il cibo, a evitare il consumo inutile di energia, a usare mezzi di trasporto ecologici, ecc., ma tutto questo non basta più. Occorre, ha scritto il Papa, «cambiare il modello di sviluppo globale […]. Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso» (LS 194). E per cambiare questo modello di sviluppo, almeno i cristiani devono anzitutto riconoscere che «l’armonia tra il Creatore, l’umanità e tutto il creato è stata distrutta per aver noi preteso di prendere il posto di Dio, rifiutando di riconoscerci come creature limitate» (LS 66).
Enzo Bianchi, nella sua «Introduzione» alla edizione Elledici della Laudasì sì, ha riassunto gli «assi portanti» (LS 16) dell’Enciclica in due termini: «consapevolezza» e «responsabilità». Consapevolezza della situazione-limite in cui i nostri comportamenti – individuali, collettivi, politici, economici – hanno condotto «nostra madre terra»; consapevolezza dell’urgenza di un cambio di mentalità e di azione; consapevolezza della necessità di fare fronte comune per fermare il degrado e invertire la rotta. Consapevolezza che esiste un’intima connessione tra lo sfruttamento dell’ambiente e lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. Consapevolezza, anche, della spirale perversa avviata dalla «tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi [e che] di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri» (LS 20).
E poi responsabilità. Verso la creazione che è stata affidata all’essere umano «perché la coltivasse e la custodisse». Non quindi perché la dominasse come padrone assoluto, ma come – secondo l’espressione usata da papa Francesco – «amministratore responsabile» (LS 116).
Purtroppo «l’armonia tra il Creatore, l’umanità e tutto il creato è stata distrutta per avere noi preteso di prendere il posto di Dio, rifiutando di riconoscerci come creature limitate. Questo fatto ha distorto anche la natura del mandato di soggiogare la terra (cf. Gen 1,28) e di coltivarla e custodirla (cf. Gen 2,15). Come risultato, la relazione originariamente armonica tra essere umano e natura si è trasformato in un conflitto (cf. Gen 3,17-19)» (LS 66).
Ma occorre rendersi conto che abbiamo una responsabilità anche verso gli altri (cf. LS 229), che non sono soltanto gli abitanti dei Paesi maggiormente colpiti dal degrado ambientale, ma anche i più poveri nelle nostre società opulente e, più ancora, le generazioni future, a cominciare dai nostri figli e nipoti, a cui stiamo sottraendo il futuro, ossia i beni primari necessari per condurre una vita dignitosa.
Dobbiamo quindi sentire che abbiamo una responsabilità per il bene comune – cioè per quanto garantisce lo stare bene insieme – e per i beni comuni, cioè per quel patrimonio che appartiene all’umanità nel suo insieme e che non può essere espropriato, sottratto ad alcuno. In questo ambito appare decisiva la salvaguardia dell’acqua come diritto di tutti: «L’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani» (LS 30).
Su questo punto Papa Francesco è categorico: «L’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti. Chi ne possiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti. Se non lo facciamo, ci carichiamo sulla coscienza il peso di negare l’esistenza degli altri. Per questo i Vescovi della Nuova Zelanda si sono chiesti che cosa significa il comandamento “non uccidere” quando “un venti per cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere» (LS 96).
Ma l’Enciclica di papa Francesco non si limita alla denuncia del degrado che colpisce nello stesso tempo la natura e i rapporti tra gli esseri umani. «Papa Francesco si spinge oltre, non tanto fornendo ricette o proponendo soluzioni tecniche – anche se politici, economisti, operatori sul campo possono trovare in queste pagine spunti di ispirazione anche molto pratici –, bensì andando più in profondità, fino a toccare il cuore umano, luogo privilegiato e decisivo per l’innesco di cambiamenti epocali» (E. Bianchi).
Il sesto e ultimo capitolo della Laudato sì si apre con queste parole: «Molte cose devono riorientare la propria rotta, ma prima di tutto è l’umanità che ha bisogno di cambiare. Manca la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro condiviso da tutti. Questa consapevolezza di base permetterebbe lo sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita. Emerge così una grande sfida culturale, spirituale e educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione» (LS 202).
Nelle pagine che seguono il Papa prospetta un percorso per questo cambiamento di atteggiamenti e di stili di vita.
Nella prima sezione incoraggia singoli e gruppi a rifiutare il «consumismo ossessivo», superando l’individualismo e l’autoreferenzialità, che ci impediscono di «considerare l’impatto provocato da ogni azione e da ogni decisione personale al di fuori di sé» (LS 208).
Nella seconda sezione dichiara: «La coscienza della gravità della crisi culturale ed ecologica deve tradursi in nuove abitudini» (LS 209) e sottolinea «l’importanza centrale della famiglia», perché è nella famiglia che «si coltivano le prime abitudini di amore e cura per la vita, come per esempio l’uso corretto delle cose, l’ordine e la pulizia, il rispetto per l’ecosistema locale e la protezione di tutte le creature» (LS 213).
Nella terza sezione propone ai cristiani «alcune linee di spiritualità ecologica che nascono dalle convinzioni della nostra fede, perché ciò che il Vangelo ci insegna ha conseguenze sul nostro modo di pensare, di sentire e di vivere» (LS 216). Egli ci ricorda innanzitutto che «vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana» (LS 217).
Richiamando ancora una volta la figura di san Francesco d’Assisi, il Papa sottolinea come «una conversione ecologica» sia «una dimensione della conversione integrale della persona» (LS 218), e che tale conversione ecologica comporta vari atteggiamenti: «gratitudine e gratuità, vale a dire riconoscimento del mondo come dono ricevuto dall’amore del Padre», «amorevole consapevolezza di non essere separati dalle altre creature» (LS 220) e che «ogni creatura riflette qualcosa di Dio e ha un messaggio da trasmetterci» (LS 221). Pertanto «invita tutti i cristiani a esplicitare questa dimensione della propria conversione, permettendo che la forza e la luce della grazia ricevuta si estendano anche alla relazione con le altre creature e con il mondo che li circonda, e susciti quella sublime fratellanza con tutto il creato che san Francesco d’Assisi visse in maniera così luminosa» (ivi).
Nella sezione su Gioia e Pace, Papa Francesco ci esorta a imparare dalle diverse tradizioni religiose, ivi compresa quella Giudeo-Cristiana, che «meno è di più» e che «rendersi presenti serenamente davanti ad ogni realtà, per quanto piccola possa essere, ci apre molte più possibilità di comprensione e realizzazione personale» (LS 222). In effetti «la spiritualità cristiana propone una crescita nella sobrietà e una capacità di godere con poco» (ivi), e questo sicuramente richiama lo stile di vita di san Francesco. E aggiunge: «Un’ecologia integrale richiede di dedicare un po’ di tempo per recuperare la serena armonia con il creato, per riflettere sul nostro stile di vita e i nostri ideali, per contemplare il Creatore, che vive tra di noi e in ciò che ci circonda, e la cui presenza “non deve essere costruita, ma scoperta e svelata” (Evangelii gaudium 71)» (LS 225).
Nella quinta sezione il Pontefice tratta della vita civile e politica, ricordando che «l’amore per la società e l’impegno per il bene comune sono una forma eminente di carità» (LS 231). «Occorre», dice, «sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti. Già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, della onestà ed è arrivato il momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco. Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di nuove forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo di una vera cultura della cura dell’ambiente» (LS 229).
Nella sezione su I segni sacramentali e il riposo celebrativo, papa Francesco ricorda che «l’universo si sviluppa in Dio, che lo riempie tutto». Di conseguenza incontriamo Dio non solo nell’intimità, ma anche nella contemplazione delle altre creature: «in una foglia, in un sentiero, nella rugiada, nel volto di un povero» (LS 233).
Come già disse Giovanni Paolo II, «il Cristianesimo non rifiuta la materia, la corporeità; al contrario la valorizza pienamente nell’atto liturgico», cioè nei sacramenti che – osserva papa Francesco – «sono un modo privilegiato in cui la natura viene assunta da Dio e trasformata in mediazione della vita soprannaturale» (LS 235). In particolare l’Eucarestia «unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato. […] Perciò l’Eucaristia è anche fonte di luce e di motivazione per le nostre preoccupazioni per l’ambiente, e ci orienta ad essere custodi di tutto il creato» (LS 236).
Nella settima sezione, richiamando san Bonaventura, papa Francesco parla della struttura trinitaria che ogni creatura porta in sé e invita tutti a «provare a leggere la realtà in chiave trinitaria» (LS 239).
L’ottava sezione è dedicata a Maria, la madre che si prese cura di Gesù e che ora vive con Lui ed è Madre e Regina di tutto il creato: «tutte le creature cantano la sua bellezza» (LS 241). Al suo fianco, Giuseppe appare nel Vangelo come un uomo giusto e lavoratore, pieno di quella tenerezza che è propria di chi è veramente forte. Entrambi possono insegnarci e motivarci a proteggere questo mondo che Dio ci ha affidato.
Nella nona sezione siamo invitati a porre la nostra attenzione «alla vita al di là del sole», ossia alla vita eterna, «nella quale ogni creatura, luminosamente trasformata, occuperà il suo posto e avrà qualche cosa da offrire ai poveri definitivamente liberati» (LS 243). Le nostre lotte e preoccupazioni non ci tolgono la gioia della speranza, perché «nel cuore di questo mondo rimane sempre presente il Signore della vita che ci ama tanto. Egli non ci abbandona, non ci lascia soli, perché si è unito definitivamente con la nostra terra, e il suo amore ci conduce sempre a trovare nuove strade» (LS 245).
«Dopo questa prolungata riflessione, gioiosa e drammatica insieme», il Santo Padre propone due preghiere, due testi per rivolgerci a Dio: la Preghiera per la nostra terra e la Preghiera cristiana con il creato (LS 246).
In sostanza il Papa propone a tutti – non solo ai cristiani – di accostarsi alla natura e all’ambiente come faceva san Francesco (cf. LS 11). Del resto, egli ha detto fin dall’inizio dell’Enciclica di credere che «Francesco sia l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità» (LS 10), per cui «se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio» (LS 11.
In conclusione, questa Laudato sì deve diventare un punto di riferimento costante per tutti i cristiani, ma in particolare per chi professa di voler seguire l’esempio di san Francesco.
Fr. Franco Valente OFM, assistente della Fraternità OFS di Sabbioncello