Sabbioncello 11 ottobre 2020.
(Isaia 25,6-10a; dal Salmo 22/23; Filippesi 4,12-14.19-20; Vangelo secondo Matteo 22,1-14)
Nella prima lettura il profeta Isaia adopera l’immagine del banchetto, al quale sono invitati tutti i popoli, per annunciare che Dio offrirà la salvezza (Is 25,9) e la felicità eterna a tutti i popoli. «In quel giorno» – dice il profeta – il Signore «eliminerà la morte per sempre e asciugherà le lacrime su ogni volto» (Is 25,8).1
Gesù, nella parabola del Vangelo di oggi, adopera la stessa immagine per annunciare che Dio offre la salvezza a tutta l’umanità. Con questa parabola Gesù annuncia, in sostanza, che la profezia di Isaia si è realizzata e che è in lui che si realizza.
La parabola di oggi parla di «un re che fece una festa di nozze per suo figlio» e «mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze» (Mt 22,2-3). Questo re è Dio che offre la salvezza al suo popolo, al popolo eletto. Infatti i servi mandati a chiamare gli invitati alle nozze sono i profeti che Dio ha mandato al popolo eletto, agli ebrei, per prepararli alla venuta del Salvatore. Gli invitati alle nozze, che rifiutano l’invito e maltrattano e uccidono i servi, sono proprio gli ebrei, che hanno rifiutano la salvezza offerta loro da Dio in Gesù.
Allora il re manda i suoi servi a chiamare tutti quelli che essi avessero trovato, «cattivi e buoni» (Mt 22,10). Questo particolare simboleggia la predicazione del Vangelo da parte della Chiesa, da parte dei cristiani, che Gesù, dopo la risurrezione, ha mandato ad annunciare la salvezza a tutti i popoli. Così «la sala delle nozze si riempì di commensali» (Mt 22,10). Questa sala piena di commensali in attesa di prendere parte al banchetto e alla festa di nozze simboleggia la Chiesa, la comunità cristiana, dove non tutti sono dei santi.
Infatti, per prendere parte al pranzo e alla festa di nozze del Figlio di Dio, ossia per ottenere, conseguire la salvezza e la gioia eterna, non basta trovarsi nella sala delle nozze, ma bisogna anche indossare l’abito nuziale. L’abito nuziale rappresenta la grazia di Dio, che riveste l’anima di chi s’impegna a essere fedele e coerente alla propria condizione di battezzato, di membro della Chiesa di Cristo. Chi non ha questo abito è cacciato fuori della sala, nelle tenebre, dove «sarà pianto e stridore di denti» (Mt 22,13). Queste parole indicano chiaramente l’inferno, dove finiscono eternamente tutti quelli che muoiono in peccato mortale, non in grazia di Dio.
Noi perdiamo la grazia divina, il gradimento di Dio, l’amicizia con Dio, con il peccato mortale. I peccati mortali più diffusi, per fare solo qualche esempio, sono le bestemmie, i peccati contro la purezza e contro la vita, il peccato di non andare alla Messa la domenica, i furti e le maldicenze con le quali roviniamo gravemente la buona fama del nostro prossimo. Con il sacramento della Confessione, se siamo sinceramente pentiti, noi recuperiamo la veste dell’innocenza e la grazia di Dio, e possiamo partecipare degnamente al banchetto dell’Eucaristia, prefigurazione e anticipo del banchetto eterno nel regno di Dio.
Tante volte si sente dire che non è bene parlare dell’inferno, che ciò spaventa i fedeli, e che bisogna parlare solo della Misericordia di Dio. Un tale modo di pensare e di agire è sbagliato e pericoloso, molto pericoloso. Ogni cristiano deve conoscere tutta la verità e deve sapere bene quali sono le conseguenze del cattivo uso della sua libertà.
Un Santo diceva: penso all’inferno per non andarci dopo la morte. Pensiamo anche noi spesso ai Novissimi, ovvero alle realtà ultime che ci attendono: morte, Giudizio, inferno e Paradiso.
A Fatima, la Madonna ha fatto vedere l’inferno a tre bambini, e li ha invitati a pregare e a offrire sacrifici affinché i peccatori si convertano e tornino nell’amicizia con Dio. Questo appello così accorato è rivolto anche a noi. Preghiamo e offriamo sacrifici anche noi per la conversione dei peccatori e così eserciteremo la più grande carità verso i fratelli.
L’inferno costituisce in qualche modo una prova dell’infinito amore di Dio per l’uomo. Dio, infatti, ci ha donato la libertà e la possibilità di scegliere il destino eterno che noi vogliamo. Ciascuno raccoglierà ciò che avrà seminato.
Rielaborazione di una omelia da “Il settimanale di Padre Pio”
a cura di padre Franco Valente – OFM Sabbioncello
1 Nell’Antico Testamento, come nell’Antico Oriente, il banchetto è segno dell’amicizia e della protezione di Dio e anche della felicità che ne deriva (cf. Sal 23,5; 36,9; Is 55,1; 65,13).