Sabbioncello 2 agosto 2020
A quattro chilometri da Assisi sorge la maestosa basilica di Santa Maria degli Angeli in Porziuncola, costruita a partire dal 1569, la quale racchiude tra le sue mura l’antica cappella della Porziuncola. La chiesina prende il nome dalla piccola porzione di terreno (“Porziuncola”) su cui sorge. Questa umile chiesina fu restaurata dallo stesso san Francesco, che per essa nutriva un grande affetto «per la riverenza che aveva verso gli Angeli e per il grande amore alla Madre di Cristo», alla quale la chiesina era dedicata, come dice san Bonaventura nella sua biografia del Santo di Assisi (Leggenda Maggiore III,1).
Lo stesso Poverello – racconta il suo primo biografo, Tommaso da Celano – raccomandava ai suoi frati: «Guardatevi dal non abbandonare mai questo luogo. Se ne foste scacciati da una parte, rientratevi dall’altra, perché questo è luogo santo e abitazione di Dio. Qui, quando eravamo pochi, l’Altissimo ci ha moltiplicato; qui ha illuminato con la sua sapienza i cuori dei suoi poverelli; qui ha acceso il fuoco del suo amore nelle nostre volontà. Qui, chi pregherà con devozione, otterrà ciò che ha chiesto, e chi lo profanerà sarà maggiormente punito. Perciò, figli miei, stimate degno di ogni onore questo luogo, dimora di Dio, e con tutto il vostro cuore, con voce esultante qui inneggiate al Signore» (1Cel 106: FF 503).
In questa umile chiesa, già appartenuta ai monaci benedettini di Subasio e restaurata dallo stesso Poverello, fu fondato l’Ordine dei Frati Minori (nel 1209). Qui, nella notte tra il 27 e 28 marzo 1211, Chiara di Favarone di Offreduccio ricevette da san Francesco l’abito religioso, dando origine all’ordine della Clarisse. Qui, nell’anno 1221, si riunì il famoso «Capitolo delle stuoie», al quale presero parte ben cinquemila frati, provenienti da ogni parte d’Europa, per pregare, ragionare della salute dell’anima e per discutere la nuova Regola francescana. Sempre qui Francesco piamente spirò, steso sulla nuda terra, al tramonto del 3 ottobre 1226.
Sempre in tale santo luogo, il Santo d’Assisi ebbe la divina ispirazione di chiedere al Papa l’indulgenza che fu poi detta, appunto, della Porziuncola o Grande Perdono di Assisi. In una imprecisata notte del luglio del 1216, mentre se ne stava in ginocchio dinanzi al piccolo altare della Porziuncola, immerso in preghiera, san Francesco vide all’improvviso una luce sfolgorante e gli apparvero, seduti in trono e circondati da uno stuolo di angeli, Gesù e Maria. Il Redentore gli chiese quale grazia desiderasse per il bene degli uomini.
San Francesco umilmente gli rispose: «Poiché è un misero peccatore che Ti parla, o Dio misericordioso, egli Ti domanda pietà per i suoi fratelli peccatori; e tutti coloro i quali, pentiti, varcheranno le soglie di questo luogo, abbiano da te o Signore, che vedi i loro tormenti, il perdono delle colpe commesse». «Quello che tu chiedi, o frate Francesco, è grande», gli disse il Signore, «ma di maggiori cose sei degno e di maggiori ne avrai. Accolgo quindi la tua preghiera, ma a patto che tu domandi al mio vicario in terra, da parte mia, questa indulgenza».
Alle prime luci dell’alba, quindi, il Santo d’Assisi, prendendo con sé solo frate Masseo di Marignano, si mosse alla volta Perugia, dove allora si trovava il Papa, Onorio III. San Francesco gli raccontò la visione e gli disse che Gesù stesso lo mandava a chiedergli di accordare l’indulgenza che egli, san Francesco, aveva chiesto al Signore.
Il papa gli fece notare che «non è usanza della corte romana accordare un’indulgenza simile». Ma Francesco ribatté: «Quello che io domando, non è da parte mia, ma da parte di Colui che mi ha mandato, cioè il Signore nostro Gesù Cristo». Nonostante, quindi, l’opposizione della Curia, il pontefice gli accordò quanto richiedeva (dicendo per tre volte: «Ordino che tu l’abbia»).
Paolo VI, nel riordinare le indulgenze, nella Costituzione Apostolica Indulgentiarum doctrina del 1° gennaio 1967, ha chiarito che «l’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi» (Norme n. 1).
Vediamo di chiarire questa definizione di indulgenza. Il peccato ha due conseguenze. La prima è la pena eterna (se il peccato è grave, mortale), che consiste nel distacco da Dio (vale a dire nell’inferno). La pena eterna è cancellata per mezzo della confessione sacramentale, che ci permette di ricuperare lo stato di grazia e la comunione con Dio. La seconda è la cosiddetta pena temporale.
La pena temporale consiste nelle sofferenze, nelle pene che si deve accettare e sopportare per rimediare al male commesso con il peccato nonché per purificarsi dal malsano attaccamento a se stessi e alle creature che il peccato, anche veniale, produce in noi stessi. Non basta infatti chiedere perdono, è necessario anche rimediare al male commesso, alle brutte conseguenze dei nostri sbagli, dei nostri peccati. Esse sono il male che abbiamo arrecato agli altri e alla comunità cristiana, e anche a noi stessi, poiché, ripeto, il peccato, anche veniale, produce in noi stessi un malsano attaccamento a se stessi e alle creature.
Come ha spiegato bene un famoso insegnante americano (Randy Pausch), una buona scusa è formata da tre parti:
1) mi dispiace;
2) è colpa mia;
3) cosa posso fare per rimediare?
La maggior parte della gente salta la terza parte. Ciò che si deve fare per rimediare al male commesso è appunto la pena temporale. Ora, la pena temporale la si può scontare sulla terra (in questa vita) con preghiere e penitenze, con opere di carità e con l’accettazione delle sofferenze della vita. Altrimenti deve essere scontata, in tutto o in parte, nell’aldilà, nel Purgatorio.
Ma con l’indulgenza plenaria Dio stesso interviene annullando in un istante tutta la pena temporale. Perché fa tutto questo? Perché vuole che arriviamo a essere felici il più presto possibile! La retta comprensione di questa dottrina ci aiuta, dunque, a conoscere meglio l’infinita misericordia di Dio, il bisogno di purificazione che tutti abbiamo a causa dell’attaccamento malsano alle creature, e il misterioso legame che unisce ciascuno alla vita di tutti gli altri cristiani nella soprannaturale unità del Corpo mistico.
Con l’indulgenza plenaria si ottiene, per sé o per un caro defunto, ciò che tanti santi hanno ottenuto con molte preghiere e grandi penitenze. E, di indulgenze plenarie, non c’è soltanto quella della Porziuncola o Gran Perdono di Assisi: ce ne sono che, alle solite condizioni, si possono acquistare ogni giorno (per es. con l’adorazione eucaristica per almeno mezz’ora, con la recita del rosario mariano, con l’ascolto o la lettura della Sacra Scrittura per almeno mezz’ora, ecc.), in determinati giorni (come quella della Porziuncola e parecchie altre) e in circostanze particolari (benedizione papale, pellegrinaggio, processione eucaristica, in un giorno scelto liberamente, ecc.). (Vedi Enchiridion indulgentiarum, Libreria Editrice Vaticana, 1999).
La Chiesa dispensa le indulgenze in forza del suo unico tesoro: i meriti di Gesù Cristo, della Madonna e dei Santi. Lo fa in virtù del potere di legare e sciogliere, che Gesù dette a Pietro: «Ti darò le chiavi del Regno dei Cieli; tutto ciò che avrai legato sulla terra resterà legato nei cieli e tutto ciò che avrai sciolto sulla terra resterà sciolto nei cieli» (Mt 16,19).
(Siracide 24,1-2.16-21; Galati 4,3-7; Vangelo di Luca 1,26-33)
Sabbioncello di Merate, 2 agosto 2020
Padre Franco Valente – OFM Sabbioncello