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Ordine Francescano Secolare Fraternità "Santa Maria Nascente" di Sabbiocello - il Signore ti dia pace
XXII Domenica Del Tempo Ordinario / A (9/11/2020) – Omelia Padre Franco Valente (OFM Sabbioncello)
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La parabola delle dieci vergini è tra le più belle del Vangelo. Essa non vuole rivelarci il numero delle anime che si salvano (un 50%), ma cosa bisogna fare per salvarsi, per entrare con Gesù nel regno dei cieli.

Ai tempi di Gesù era consuetudine che le nozze si celebrassero di notte. Perciò il corteo nuziale doveva procedere con le lampade accese. La parabola ci parla di dieci vergini, cioè ragazze sui quindici anni, che dovevano far parte del corteo nuziale di due novelli sposi. Cinque di esse sono dette «sagge», perché hanno portato con sé una scorta abbondante di olio, in modo da poter tenere accesa la fiamma delle loro lampade per tutto il tempo necessario. Le altre cinque invece sono dette stolte; il termine andrebbe tradotto con «imprevidenti», perché non hanno portato con sé una scorta di olio, anche se sapevano bene che le loro piccole lampade di terracotta, che potevano essere tenute in una mano, non potevano stare accese più di qualche ora (avevano un’autonomia assai limitata). È necessario alimentarle spesso con altro olio e aggiustare lo stoppino consumato.

A mezzanotte si sente un grido: «Ecco lo sposo! Andategli incontro!». Le stolte si accorgono di non aver olio per le loro lampade che si stanno spegnendo; ne chiedono un poco alle sagge, ma queste fanno loro notare che l’olio che hanno non basterebbe per tutte.

Mentre le stolte vanno a comprare l’olio, arriva lo sposo. Le sagge entrano con lui nella sala del banchetto, e la porta viene chiusa. Così le altre ragazze, quando arrivano, non possono entrare e partecipare alla festa di nozze (al banchetto).

Che cosa vuole insegnarci Gesù con questa parabola? Ci vuol dire che dobbiamo essere sempre pronti all’incontro finale con lui, all’incontro con lui che avverrà alla fine della nostra vita terrena; e che cosa dobbiamo fare per essere sempre pronti all’incontro finale con lui e per entrare con lui nel regno dei cieli.

Gesù non spiega a che cosa intende riferirsi con quella scorta di olio che le ragazze sagge hanno portato con sé assieme alle lampade. Perciò se ne possono dare varie interpretazioni. Tuttavia l’interpretazione più probabile è quella che vede nelle lampade il simbolo della fede e nell’olio il simbolo della carità cristiana, cioè dell’amore verso Dio, verso il nostro Salvatore e verso il prossimo. Infatti come la lampada senza l’olio è spenta, così la fede senza la carità è morta.

È quanto dice san Paolo: la vera fede, la fede che vale è «la fede che opera per mezzo della carità» (Galati 5,6). Quindi è un’illusione pensare che basti credere nel nostro Signore Gesù Cristo per essere uniti a lui. La condizione per essere uniti a lui e per essere sempre pronti all’incontro finale con lui non è soltanto la fede, ma la fede operosa, cioè la vita cristiana, che è una vita piena di amore per Dio e per il prossimo, piena di opere buone.

È quanto afferma anche san Giacomo nella sua lettera: «Che giova […] se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? […] la fede se non ha le opere, è morta in se stessa» (Gc 2,14.17).

E dobbiamo essere sempre pronti all’incontro finale con il Signore, perché – come ci avverte sant’Alfonso «Nella vita dell’uomo, niente è più certo della morte e niente più incerto del giorno della morte». Di qui la necessità di non “sonnecchiare” in una vita mediocre, fatta di continui compromessi e cedimenti, servendo un po’ Dio e un po’ il mondo (cioè il diavolo). Non è questa la vita di un vero cristiano in attesa del suo Sposo e Giudice!

Padre Franco Valente Sabbioncello di Merate, 9/11/2020

XXII Domenica del Tempo Ordinario / A (9/11/2020)

(Sapienza 6,12-16; dal Salmo 62/63; Prima Tessalonicesi 4,13-18; Vangelo secondo Matteo 25,1-13)

 

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