Sabbioncello 5 luglio 2020.
Il brano evangelico di oggi si compone di tre piccoli brani: prima abbiamo il famoso «grido di giubilo» (come viene chiamato dagli studiosi), con cui Gesù ringrazia il Padre per aver «tenuto nascosti» i suoi misteri (le sue verità) ai «sapienti» e ai «dotti» (alle «persone istruite») e averli «rivelati ai piccoli» (vv. 25-26); poi abbiamo l’affermazione sul rapporto unico che intercorre tra Gesù (il Figlio) e il «Padre» (v. 27); infine abbiamo l’invito di Gesù a prendere il suo «giogo» (vv. 28-30).
Tutto questo lo si capisce meglio se lo si vede nel suo contesto. Questo brano viene subito dopo la condanna delle città della Galilea in cui Gesù ha svolto a lungo la sua attività evangelizzatrice e che non hanno creduto (non hanno accolto il suo messaggio): «Guai a te, Corazin! Guai te, Betsaida!
Perché se a Tiro e a Sidone fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza. E tu, Cafarnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se in Sodoma fossero avvenuti i miracoli compiuti in te, oggi ancora essa esisterebbe!» (11,21-23).
In mezzo a tanta chiusura/ottusità di mente e di cuore si capisce il grido di gioia di Gesù nello scoprire che c’è qualcuno che ha capito qualcosa di «queste cose», cioè del suo messaggio e della sua stessa persona: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te» (vv. 25- 26).
Queste parole di Gesù vanno comprese bene. Non è che Dio non apprezzi e non stimi i sapienti e i dotti (le persone istruite). I sapienti e i dotti a cui si riferisce Gesù in questa frase sono coloro che si credono sapienti e dotti per merito proprio o per virtù propria, cioè gli orgogliosi e i presuntuosi, coloro che credono di avere la verità in tasca e che quindi non accetteranno mai delle idee che contraddicono le loro idee o che essi non possono pienamente comprendere.
Ma il messaggio di Gesù non può essere pienamente compreso dalla ragione, dall’intelligenza umana, perché è di origine divina. Il messaggio di Gesù («queste cose») può essere compreso e accettato dagli uomini solo se il Padre apre loro la mente e il cuore. E il Padre apre la mente e il cuore di coloro che Gesù chiama «i piccoli» e che sono coloro che si pongono di fronte al suo messaggio e alla sua stessa persona con tutta umiltà e totale disponibilità.
Se il nostro cristianesimo, sia a livello di modo di pensare sia a livello di modo di vivere, non va oltre i limiti del comune buon senso e della cosiddetta sapienza umana, vuol dire che non abbiamo capito ancora che cosa sia il cristianesimo! Chiediamoci come ci poniamo di fronte a Gesù e al suo messaggio: se con la presunzione di chi crede di sapere già tutto o con l’umiltà e la disponibilità del vero discepolo, del vero credente.
L’affermazione che segue apre uno spiraglio di luce sul mistero del rapporto che intercorre fra Padre e Figlio: «Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo» (v. 27).
Anche gli imperatori romani rivendicavano una conoscenza speciale di Dio, in quanto si consideravano suoi figli. Per i cristiani l’unico vero «Figlio di Dio» è Gesù; perciò lui solo poteva comunicare agli uomini e alle donne la vera «conoscenza» di Dio, cioè rivelare agli uomini e alle donne il vero volto di Dio.
Il terzo e ultimo brano del testo evangelico (vv. 28-31) è connesso con quanto precede («Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero»). Nell’Antico Testamento la Legge di Mosè, o meglio la Legge data da Dio al popolo d’Israele tramite Mosè, era raffigurata simbolicamente nel «giogo» che si pone sul collo delle bestie da soma (cf. Sir 6,24-30; 51,23.26). Gli scribi e i farisei, con le loro interpretazioni cervellotiche, avevano reso insopportabile il peso della Legge mosaica. Orbene Gesù contrappone al giogo opprimente della Legge mosaica, reso tale dalle interpretazioni dei rabbini, il «suo giogo», dicendo che è «dolce» e «leggero». La Legge di Gesù, la nuova legge evangelica, che consiste nell’amore di Dio e del prossimo, non è certo meno esigente della Legge mosaica (cf. Mt 5,17-48). Tuttavia Gesù può affermare che il suo «giogo è dolce» e il suo «peso leggero» per due motivi: perché l’osservanza della sua Legge dà «ristoro» alle «nostre anime», cioè ci porta alla piena liberazione interiore, alla salvezza; e perché Gesù non è un padrone duro, implacabile, ma al contrario è un Signore pieno di mitezza, di comprensione e di compassione, un Signore molto umile che si mette al nostro livello, per aiutarci nel modo più efficace.
Bisogna però andare a lui, fargli spazio nella nostra vita, mettersi alla sua scuola, cercando di conformarsi a lui, di imitare il suo modo di comportarsi. Gesù indica due virtù come quelle che sono le sue virtù per eccellenza: la mitezza e l’umiltà. Dice infatti: «imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (v. 29). La mitezza si oppone alla violenza, l’umiltà alla presunzione e alla superbia.
Queste parole di Gesù ci assicurano che osservare la sua Legge, il Vangelo, è possibile. Gesù non ci chiede l’impossibile, non c’impone un giogo che non siamo in grado di portare. La sua Legge (l’amore per Dio e per il prossimo) è a misura del nostro essere figli adottivi di Dio. I santi non hanno mai detto che il Vangelo, la Legge di Gesù non è praticabile. Santa Teresa d’Avila scriveva: «Non stanchiamoci mai di lodare un Re e Signore di tanta maestà, il quale ci ha preparato un regno che mai finirà in cambio di qualche piccola sofferenza avvolta in mille gioie e che domani avrà termine. Sia egli benedetto sempre! Amen, amen!» (Fondazioni 31,47).
Dobbiamo però andare a lui, fargli spazio nella nostra vita, metterci alla sua scuola. E allora anche noi ripetiamo spesso durante la giornata: «Gesù, mite ed umile di cuore, rendi il nostro cuore simile al tuo». Solo così potremo trovare ristoro per le nostre anime. Tante liti, tante divisioni e tante sofferenze sarebbero evitate, se cercassimo di più, da buoni cristiani, di imitare Gesù mite e umile di cuore.
La prima lettura prepara questa rivelazione di Gesù. Il profeta Zaccaria dice a Gerusalemme: «Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto, vittorioso e umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina» (v. 9). Questo re non cavalca un cavallo, che è un animale da guerra, ma un asino, che è un animale pacifico.
Questa profezia si avvererà la domenica delle Palme, quando Gesù si presenterà al popolo cavalcando un asino, per manifestare che lui non è un Messia guerriero, venuto per guidare il popolo d’Israele alla conquista del mondo, ma un Signore pieno di umiltà e di mitezza, che «annuncia la pace a tutte le nazioni» (v. 10).
La seconda lettura è un brano della Lettera ai Romani che tratta un tema diverso, ma ha un punto di contatto con il brano evangelico. Paolo afferma: «Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene» (v. 9). Con «Spirito di Cristo» l’Apostolo intende lo Spirito Santo, che ci trasmette la mitezza e l’umiltà di Gesù. Dobbiamo accogliere lo Spirito di Cristo, lo Spirito Santo, se vogliamo appartenere a lui.
XIV Domenica del Tempo Ordinario / A (5/7/2020) (Sabbioncello di Merate, 5/7/2020)
(Zaccaria 9,9-10; dal Salmo 144/145; Romani 8,9.11-13; Vangelo di Matteo 11,25-30)
Padre Franco Valente – OFM Sabbioncello