In questo periodo, forse a causa delle mie ultime vicende personali (la morte di mia mamma e il conseguente riaffiorare dolore per gli altri miei lutti), forse a causa dell’esperienza umana, globale della pandemia, mi ritrovo spesso a riflettere sulla “parabola” della vita, intesa come nascita, crescita, morte.
Mi sembra che il nostro mondo, la società in genere, abbia come rimosso, da tempo, l’idea della morte. L’uomo moderno malato di mania di grandezza pensa di avere tutto nelle mani, di sapere e di prevedere tutto, così quando si trova di fronte alla malattia grave e alla morte (al virus), scopre tutta la sua fragilità, il suo limite, scopre che il benessere economico, non rende invulnerabile, per questo se non è sorretto dalla fede può cadere nell’angoscia.
L’articolo 19 della nostra Regola dice “… Messaggeri di perfetta letizia, in ogni circostanza, si sforzino di portare agli altri la gioia e la speranza. Innestati alla Resurrezione di Cristo, la quale dà il vero significato a Sorella Morte, tendano con serenità all’incontro definitivo con il Padre”.
Purtroppo anche per noi francescani, che siamo chiamati a portare gioia e speranza nei nostri ambienti, non è sempre facile comunicare la speranza nella resurrezione, che pure ci abita, nelle situazioni che incontriamo, alle persone che avviciniamo e che sono smarrite e a volte disperate.
Ma perché è così difficile pensare serenamente alla vita che finisce?
Perché anche noi cristiani siamo diventati poveri di parole intorno alla vita eterna, al Paradiso, all’incontro definitivo con il Padre?
Penso che ciò sia dovuto ad una specie di “amnesia”, dimentichiamo cioè la nostra provenienza, la nostra origine: siamo esseri creati ad immagine di Dio, e Dio, come un Padre, ha un sogno su ciascuno di noi: condurci ad una piena comunione con Lui.
Dovremmo allora, per trovare risposte vere da dare a noi stessi e agli altri, non solo scartare i tanti messaggi, filosofie mondane che ci raggiungono, ma riappropriarci delle parole della Rivelazione biblica che aprono il cuore a orizzonti di speranza e che aiutano a superare tante incertezze.
Nella Bibbia possiamo trovare il linguaggio giusto per parlare di vita eterna, di vita con Dio, penso ai Salmi, (“Per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita negli inferi”, salmo 16); penso a tanti passaggi delle lettere di san Paolo (“nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio” , Rom. 8); e penso a Gesù che nel Vangelo, attraverso immagini e similitudini, ci ha parlato della vita beata che ci attende dopo la morte, anche se in modo esplicito una sola volta ha parlato di Paradiso, quando lo ha promesso al malfattore crocifisso accanto a Lui.
Certo la vita ha le sue difficoltà, prove, fatiche, ma nonostante queste dobbiamo avere il coraggio di parlare della “speranza che è in noi”, della fede cristiana; papa Francesco in un’omelia di qualche anno fa ha detto che “il cristiano deve avere il coraggio di vivere con la logica del dopodomani, cioè nella certezza della resurrezione della carne”.
Penso all’esempio di san Francesco e alla sua vita non autocentrata e che per questo ha saputo chiamare sorella anche la morte e nella parafrasi del Padre nostro scrive: “Venga il tuo regno, affinché tu regni in noi per mezzo della grazia, e ci faccia giungere nel tuo regno, ove la visione di te è senza veli, l’amore di te perfetto, la comunione con te è beata, il godimento di te senza fine”.
“Per Francesco, la felicità del mondo futuro consiste essenzialmente nella visione e nell’amore di Colui che è sapienza, umiltà, bellezza, mansuetudine, gaudio e letizia, e tutto questo in gioiosa compagnia della folla dei salvati” (T. Matura: Francesco maestro nello spirito).
Mi rendo conto che ho ancora tanto da imparare per essere francescana, ma confido nella misericordia di Colui che tutto può.
Sabbioncello, 8 giugno 2020.
Ofelia Favaron – Ministro OFS Sabbioncello.